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Channel: Commenti a: Scusate ma insisto: il “monetarismo religioso” della Bce è criminale
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Di: Luigi

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Egregio “santommaso” (che triste nascondersi dietro il nome di un Santo che non merita certo di essere usato in tal modo),

Se il suo post si riferisce al mio intervento, allora sappia che della Scuola di Salamanca lo scrivente sa molto soprattutto in campo giuridico internazionalista. Prima di sputare sentenze di “scomunica”, con la solita intolleranza di chi crede di essere sulla cattedra pontificia senza accorgersi invece di sedere su una panchina, sarebbe il caso che legga meglio e bene quanto gli altri scrivono (anche quanto scrive Passali). Nella fattispecie ho scritto che i grandi scolastici di Salamanca sono stati tali in teologia e in teologia morale e politica, campi nei quali, sulla scorta dell’Aquinate, hanno posto le fondamenta della moderna concezione della naturalità del politico e di quella del diritto internazionale, ad iniziare dal quello inter-statuale o jus publicum europaeum. In questi campi, ed in particolare per tutto quanto concerne il dogma di fede, quindi la Rivelazione che è Luce dell’Eterno, essi oltrepassano il loro tempo storico. Questo però non significa che bisogna seguire i salmantini anche in campo economico, sia perché ai loro tempi non esisteva una vera e propria scienza economica e quanto essi scrivevano di economia era piuttosto un ragionare filosofico-morale sull’economia (il che non è affatto disdicevole, anzi) sia, sopratutto, perché ai loro tempi l’economia, anche quella monetaria, non funzionava come quella odierna. E’ come pretendere di essere tomisti continuando ad affermare, in cosmologia, la teoria tolemaica perché in essa credeva, in quanto tale era la convinzione della scienza del suo tempo, san Tommaso d’Aquino!
Sia più cristianamente umile e dismetta il suo integralismo che, oltretutto in campi meramente umani come quelli scientifici, quindi sempre suscettibili di mutazioni e revisioni, è persino ridicolo.
Per quanto riguarda il “fiat money”, gli austriaci potranno anche non essere favorevoli ma resta il fatto – e con questo fatto bisogna fare i conti senza ricadere in soluzioni deflattive e da decrescita – che esso, mentre l’ordoliberismo lo vieta agli Stati, è praticato quotidianamente dal sistema bancario privato che lo piega ai suoi fini speculativi, antisociali ed anticristiani. E’ qui che il bisturi deve intervenire ma non ammazzando il paziente, ossia i popoli, come accadrebbe con le “soluzioni” austriache, quanto piuttosto piegando il funzionamento odierno della creazione monetaria al servizio dell’economia reale e del bene comune. Infine, l’idea che la Dottrina Sociale cattolica coincida con la Scuola Austriaca o che Essa faccia riferimento ai postulati di tale Scuola è solo propaganda catto-conservatrice (ed antitradizionale): una propaganda che, certo, ha fatto breccia – visti anche i potenti appoggi avuti da quegli ambienti economici interessati a che i cattolici sbandassero verso il neoliberismo – ma che resta una coperta per menzogne beduine. Si però il caso che il Magistero pontificio si è ripetutamente espresso contro il liberismo economico, quindi anche contro le concezioni austriache che (non lo vorrà negare, spero!) sono liberali e liberiste. Forse è il caso che vada a rileggersi tutti i passi di censura del liberismo, come anche della concezione dell’economia deterministicamente mossa dalla concorrenza, contenuti nei documenti del Magistero Sociale Cattolico. Eccone una sintetica e non certo esaustiva rassegna:

Leone XIII (Rerum Novarum, n. 2) “… cupidigia … e … sfrenata concorrenza. Accrebbe il male un’usura divoratrice che, sebbene condannata tante volte dalla Chiesa., continua lo stesso, sotto altro colore, a causa di ingordi speculatori”;

Pio XI (Quadragesimo Anno, n. 89) “c) principio direttivo dell’economia. Un’altra cosa ancora si deve procurare, che è molto connessa con la precedente. A quel modo cioè che l’unità della società umana non può fondarsi nella opposizione di classe, cosi il retto ordine dell’economia non può essere abbandonato alla libera concorrenza delle forze. Da questo capo anzi, come da fonte avvelenata, sono derivati tutti gli errori della scienza economica individualistica, la quale dimenticando o ignorando che l’economia ha un suo carattere sociale, non meno che morale, ritenne che l’autorità pubblica la dovesse stimare e lasciare assolutamente libera a sé, come quella che nel mercato o libera concorrenza doveva trovare il suo principio direttivo o timone proprio, secondo cui si sarebbe diretta molto più perfettamente che per qualsiasi intelligenza creata. Se non che la libera concorrenza, quantunque sia cosa equa certamente e utile se contenuta nei limiti bene determinati; non può essere in alcun modo il timone dell’economia; il che è dimostrato anche troppo dall’esperienza, quando furono applicate nella pratica le norme dello spirito individualistico. È dunque al tutto necessario che l’economia torni a regolarsi secondo un vero ed efficace suo principio direttivo. (…).. Si devono quindi ricercare più alti e più nobili principi …: e tali sono la giustizia e la carità sociali”;

Paolo VI (Octogesima adveniens, n. 35) “Dall’altra parte si assiste ad un rinnovamento dell’ideologia liberale. Questa corrente si afferma sia all’insegna dell’efficacia economica, sia come difesa dell’individuo e contro le iniziative sempre più invadenti delle organizzazioni e contro le tendenze totalitarie dei poteri politici. Certamente l’iniziativa personale deve essere mantenuta e sviluppata. Ma i cristiani che s’impegnano in questa direzione, non tendono, a loro volta, a idealizzare il liberalismo, che diventa allora una esaltazione della libertà? Essi vorrebbero un nuovo modello, più adatto alle condizioni attuali, e facilmente dimenticano che alla sua stessa radice il liberalismo filosofico è un’affermazione erronea dell’autonomia dell’individuo nella sua attività, nelle sue motivazioni, nell’esercizio della sua libertà. Ciò significa che anche l’ideologia liberale esige da parte loro un attento discernimento”;

Benedetto XVI (Caritas in Veritate, n. 35 e 36) “Il mercato, se c’è fiducia reciproca e generalizzata, è l’istituzione economica che permette l’incontro tra le persone, in quanto operatori economici che utilizzano il contratto come regola dei loro rapporti e che scambiano beni e servizi tra loro fungibili, per soddisfare i loro bisogni e desideri. Il mercato è soggetto ai principi della cosiddetta giustizia commutativa, che regola appunto i rapporti del dare e del ricevere tra soggetti paritetici. Ma la dottrina sociale della Chiesa non ha mai smesso di porre in evidenza l’importanza della giustizia distributiva e della giustizia sociale per la stessa economia di mercato, non solo perché inserita nelle maglie di un contesto sociale e politico più vasto, ma anche per la trama delle relazioni in cui si realizza. Infatti il mercato, lasciato al solo principio dell’equivalenza di valore dei beni scambiati, non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare. Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare, e la perdita della fiducia è una perdita grave. (…). L’attività economica non può risolvere tutti i problemi sociali mediante la semplice estensione della logica mercantile. Questa va finalizzata al perseguimento del bene comune, di cui deve farsi carico anche e soprattutto la Comunità politica. Pertanto, va tenuto presente che è causa di gravi scompensi separare l’agire economico, a cui spetterebbe solo produrre ricchezza, da quello politico, a cui spetterebbe di perseguire la giustizia mediante la ridistribuzione”;

Francesco I (Evangelium gaudium, n. 202 e 204) “Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali. (…). Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione …”.

Saluti.

Luigi


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